Dopo la Convention di Roma tra ecologisti e civici.
Sarò lungo.
Ho atteso un po' prima di scrivere qualcosa per riflettere e sedimentare le impressioni.
La valutazione è sostanzialmente positiva, ciò che è entrato in relazione riesce a creare qualcosa. Si è avviato un processo costruttivo includente. Non è poco.
Ovviamente è fin troppo facile individuare limiti e fare critiche a ciò che è stato fatto.
Metto qui alcuni link che danno un'idea di ciò che è avvenuto, poi una bella lettera critica del giovane Valentino Liberto e la mia risposta che fotografa il mio stato d'animo nei confronti del percorso avviato.
Qui le impressioni di Luciano Coluccia
Qui Michele Dotti
Marco Boschini
Giuliano Tallone
Si noterà l'assenza, ancora una volta, del genere femminile. A dire il vero Terra ha pubblicato un articolo di Pinuccia Montanari. Lo riporto per completezza di informazione ma ritengo politicamente del tutto irrilevante chi rimpiange il simbolo, l'identità verde, non muove foglia per costruire "il nuovo" (per dirla con Pino Romano) ed è pronto a muovere guerra a Bonelli per aver tradito il mandato congressuale (il senso del ridicolo non ha mai fine). Come potete vedere, il fatto che sia pubblicato sul sito dei Verdi Toscani (che non hanno mai riportato mezza parola su tutto il percorso costituente) è una risposta precisa a chi sostiene che la Costituente sono i verdi riciclati.
La sostanziale assenza del genere femminile nell'elaborazione fattiva del percorso è forse il segnale più allarmante dell'inadeguatezza del percorso stesso.
Ma veniamo alla bella lettera di Valentino:
Quale futuro per i Verdi in Italia?
pubblicata da Valentino Liberto il giorno mercoledì 1 giugno 2011 alle ore 12.21
Care/i amiche e amici, dopo l'entusiasmo della "rivoluzione arancione" di Milano e Napoli, desidero sottoporre alla vostra attenzione un contributo critico sulla Costituente ecologista (e "civica"), inviato al quotidiano 'Terra' - a proposito: fatemi sapere se per caso lo trovate pubblicato in versione cartacea, ieri od oggi o nei prossimi giorni. ;) La riflessione tiene conto del mutato scenario politico e delle sue conseguenze sul futuro dei Verdi italiani. p.s. Rinvio anche all'articolo odierno su 'La Stampa' a pag. 23 dal titolo «Cohn Bendit "rottamato" dalla nuova generazione verde»
Quel marchio inopportuno sulla Costituente ecologista.
L'uso strumentale del «solve et coagula» di Alexander Langer.
Con la delegazione dei Verdi-Grüne-Vërc di Bolzano/Bozen, ho preso parte il 21 e 22 maggio alla Convention della “Costituente ecologista” a Roma. Desidero condividere i dubbi che nutro dal weekend romano, discostandomi dal coro di opinioni positive che già s'è levato anche da questo quotidiano. La mia delusione non è compensata dalla prospettiva d'una nuova denominazione o di primarie (discutibili) per il restyling del simbolo dei Verdi, nell'intenzione di cestinare il “vecchio” Sole che ride; per quanti, come me, si ispirano al pensiero organico di un «mite combattente» verde come Alexander Langer, il mancato entusiasmo deriva dall'approssimazione nei contenuti e da una proposta politica piuttosto debole e inadatta, che si rivela ancora una volta più utile alla difesa del proprio orticello che alla società italiana. Premetto: non sono un fan del «verde-partito» e nemmeno dello spontaneismo più intransigente. Sono convinto, però, che per definirsi “puristi” occorra un surplus di formazione delle competenze su questioni etiche, democratiche ed economiche - pari solo all'articolata scuola politica dei Radicali. Qualora invece si volesse mettere da parte il dogmatismo verde degli “stili di vita” (ovvero della coerenza tra agire individuale e politiche collettive) puntando solo sulle grandi emergenze ambientali, dal riformismo democratico il passo sarebbe breve.
La profezia langeriana.
Nella prefazione al libro di F. Capra e C. Spretnak “La politica dei Verdi” del 1986, Alex Langer introdusse il «nuovo modo di far politica» verde: nel dibattito tra fondamentalisti e realisti («riformisti») si schierò coi secondi, in quanto «si pongono con urgenza il problema delle forze da aggregare (o cui allearsi) per ottenere cambiamenti significativi dal punto di vista ecologico; spesso pensano alla sinistra riformista come principale possibile interlocutore, senza preconcetti di schieramento». Le distanze tra temi ambientali e battaglie socialiste si accorciavano, così Langer avanzò una serie di ipotesi: «Basteranno pochi anni di presenza verde per “riciclare” le forze politiche tradizionali e rendere superflua un'autonoma presenza elettorale degli ecologisti? Vincerà la più consumata esperienza politica delle “vecchie volpi” contro l'ingenuità degli “orsetti panda” che si affacciano nelle istituzioni? Saranno i Verdi stessi che, a furia di interminabili processi decisionali, di consistenti “sprechi energetici” (a discutere intorno alla loro rappresentanza), si tarperanno le ali in modo tale da non poter competere sul piano elettorale? O sarà lo sciopero degli stessi Verdi contro la “politica” e la conseguente scelta di altri terreni di impegno a rendere breve e un po' marginale la presenza istituzionale dei rappresentanti politici ecologisti? […] Sembrerebbe quasi che la politica non sia un terreno congeniale ai Verdi. E tra gli stessi Verdi non manca chi, magari sotto l'esperienza di precedenti esperienze un po' settarie, vede il ruolo degli ambientalisti politici non dissimile a quello di un piccolo partito come ce ne sono già fin troppi in circolazione, invece che di latori di una proposta maggioritaria che non sopporterebbe la marginalizzazione nel ghetto dei duri e puri».
Neo-progressisti ed eco-sociali.
Alex Langer notò come il rovesciamento della polarizzazione destra/sinistra desse l'opportunità ai Verdi di raccogliere idealità smarrite dalle sinistre (magari rifugiate a destra, come «il senso della differenza contro un malinteso trionfo dell'uguaglianza») e di lanciare al conservatorismo la sfida sul terreno della tutela ambientale. La contrapposizione all'enfasi progressista per il cambiamento e alla competizione eretta a misuratore universale delle destre, generò tra i Verdi la semplificazione «né di destra né di sinistra». Ralf Fücks, co-presidente della fondazione verde “Heinrich Böll” e stratega tra i più brillanti dei Verdi tedeschi, tentò - non senza difficoltà - una ridefinizione del termine «progressiv» che lo svincolasse dall'idea di progresso propria della socialdemocrazia: si è “progressisti” in quanto costruttori d'un futuro «migliore» senza difese ideologiche dello status quo. Fücks individua punti di rottura tra le linee tradizionali che demarcano lo spettro politico (coalizioni destra-sinistra): vi sono estremismi complementari pro- o anti-mercato e al contempo ostili allo Stato o statalisti (liberismo e Linke), elementi “conservatori” nella SPD (ad es. sull'industrialismo) ed elementi “progressisti” tra i Liberali (sui diritti civili). Completano il quadro l'erosione del sistema bipolare e la ri-collocazione dei Grünen in un sostanziale processo riformista, più attento rispetto all'SPD alle sfide della globalizzazione e al nesso economia-ecologia. I Verdi si profilano come forza contemporanea, dinamica e innovatrice, concretizzando gli storici pilastri «ökologisch (saggezza ecologica), sozial (giustizia sociale), basisdemokratisch (democrazia partecipativa), gewaltfrei (non violenza)», come ribadito dal neo-governatore verde del Baden-Württenberg Winfried Kretschmann nel discorso d'insediamento, proponendo un «rinnovamento eco-sociale» per il ricco Land cattolico.
Un'identità in negativo.
Mentre i Grünen si posizionano in un campo che potremmo definire “linksliberal”, i nostri Costituenti ecologisti - poco inclini a tener presente il contesto nazionale - fanno riferimento all'esperienza «post-ideologica» dei cugini germanici. Ma la SPD non è il Partito Democratico in salsa tedesca: il programma (come l'agire) del Partito Democratico cerca di coprire anche la cultura politica e le idee che in Germania occupano i Verdi – che poi i democratici ci riescano o meno, è un altro problema. Cosa differenzia i Verdi ed ecologisti italiani da chi, con una prospettiva più solida e ampia, si occupa di ambiente nel PD? In Italia, gli ambientalisti più ragionevoli (che in Germania chiameremmo realos) e civici (bürgerlich), attenti alla sfera socio-economica e propensi al lavoro nelle istituzioni, stanno coi democratici. Bersani si considera segretario del «più grande partito ambientalista d'Italia» e, secondo i sondaggi, il PD vale più o meno le percentuali che i Verdi tedeschi hanno conquistato nelle ultime tornate elettorali. Il rischio è di fondare la propria ragion d'essere sulla speranza che l'apparato dirigenziale del PD non imbocchi mai la strada di un «ecologismo di qualità», come chiesto dal “rottamatore” Pippo Civati. E' davvero ragionevole scavalcare tale buonsenso e inseguire la via non meglio identificata della «trasversalità politica» e della «libertà di critica», che risolvi la dicotomia “destra/sinistra” proponendosi semplicemente come soggetto del centro politico od oltranzista?
Il «coagula» di Alex.
Secondo la mente lucida di Alex Langer - immancabilmente un poco più avanti degli altri, tanto da risultare sempre “inattuale” e mai del tutto preso sul serio - l'aggettivo “verde” non coincise con l'appartenenza al partito verde istituzionalmente inteso; è uno stato d'animo, un approccio politico alla società improntato ai valori generali dell'ecopacifismo. Non a caso, nel 1987 propose lo scioglimento delle Liste verdi dopo le elezioni, proposta che risulterà minoritaria. Langer vivrà sempre con fastidio la tendenza del movimento verde ad istituzionalizzarsi e a diventare partito, tanto che rifiuterà sempre il ruolo “ufficiale” di leader. Eppure, Angelo Bonelli in una recente intervista a Vanity Fair, non ha esitato ad affermare che «abbiamo deciso di applicare il motto di Alexander Langer “Solve et coagula”, dissolviamoci per coagulare». Peccato che queste parole, Langer le rivolse in una lettera indirizzata al PDS nel 1994, con l'auspicio che nascesse una formazione «meno partitica, meno ideologica e meno targata “di sinistra”»: «per aggregare uno schieramento nuovo e convincente bisognerà saper sciogliere e coagulare, unendo in modo saggio radicalità e moderazione». Langer era alla ricerca di una nuova sponda per un impegno sociale e politico che non conoscesse «né scorciatoie progressiste né rassicuranti giaculatorie verdi». «Occorre un forte progetto etico, politico e culturale, senza integralismi ed egemonie, con la costruzione di un programma e una leadership a partire dal territorio e dai cittadini impegnati. […] Da molte parti si trovano oggi riserve etiche da mobilitare che non devono restare confinate nelle “chiese”, nelle sagrestie di schieramenti e ideologie».
Innanzitutto «solve».
Dove sono finiti il respiro, la dimensione europea dell'europarlamentare sudtirolese? Può il solo binomio 'ecologisti e civici' raccogliere quest'eredità? L'emancipazione dalla Sinistra extra-parlamentare e il rivolgersi all'intero elettorato aldilà della logica dei blocchi, hanno portato ad accentuare un ecologismo considerato autosufficiente. E il passaggio dal radicalismo al pragmatismo è privo di auto-riforma: il “Sole che ride” ragiona ancora da partito, che deve per forza avere rappresentanza istituzionale. Non è un movimento che fa politica guardando sul lungo periodo, un orizzonte in cui l'elettoralismo è solo una componente: la rappresentanza elettorale è tutto e senza di essa non si esiste. Così facendo non si contribuisce a superare la politica dei tatticismi. Come definirsi “al servizio di tutti” trincerandosi ogni volta (con obbligo di accredito!) in un hotel romano, coi bicchieri di plastica e panini dal supermercato, con processi decisionali confusi, pulpiti e palchi anziché tavole rotonde e la presunzione di trovarsi già oltre gli schieramenti ideologici? Manca una prospettiva slegata dalla logica partitica (anche tra chi professa la “causa” civica) e che renda «socialmente desiderabile» un percorso costituente di natura soprattutto culturale. I Verdi devono avere il coraggio di sciogliersi nel composito universo associazionista e ambientalista, parlando dall'interno di esso, per recuperare credibilità (cioè rigore argomentativo) e influenzare i partiti dall'esterno; un movimento di opinione e pressione che sostenga, in caso di elezioni, anche candidati non esplicitamente verdi. Senza troppe concessioni all'antipolitica e senza ricadere nelle forme rigide di partecipazione organizzata.
La post-militanza intesa come scioglimento della politica nella società civile, un'autentica rigenerazione delle istanze eco-sociali ed eco-solidali nonché l'impegno nel “fare rete” tra le esperienze dell'arcipelago verde europeo, dovranno segnare un cammino coeso e pluriennale che – a mio parere – è ben incarnato dalla “Costituente ecologica” proposta da Langer, secondo cui «se non si arriverà a dare un solido fondamento [sociale] alla necessaria conversione ecologica, nessun singolo provvedimento sarà abbastanza forte da opporsi all’apparente convenienza che l’economia della crescita e dei consumi di massa sembra offrire». E l'Italia, il paese della frammentazione, ha urgente bisogno di queste nuove fondamenta.
Valentino Liberto,
già candidato dei Verdi-Grüne-Vërc al Consiglio provinciale e comunale di Bolzano/Bozen.
Infine la mia risposta:
Caro Valentino,
le tue osservazioni mi permettono di esprimere una valutazione sostanzialmente positiva del processo avviato, ma consapevole delle enormi difficoltà e dell’enorme sforzo ancora richiesto a tutti (tu compreso) per provare ad aprire una prospettiva per l’ecologismo politico in Italia.
Mi piacerebbe ragionare senza tirare in ballo Langer, perché forte è il pericolo di tirarlo per la giacchetta, per giustificare proprie convinzioni che magari hanno davvero poco a che vedere col suo pensiero. Ma con te lo posso fare e lo farò, perché conosco il tuo genuino interesse e la tua conoscenza del pensiero di Alex.
Tu dici “il mancato entusiasmo deriva dall'approssimazione nei contenuti e da una proposta politica piuttosto debole e inadatta, che si rivela ancora una volta più utile alla difesa del proprio orticello che alla società italiana”. Quale difesa? Di quale orticello parli? Non vedi che non c’è più niente?
La prima considerazione che ti invito a fare è che stiamo parlando di un processo dinamico in atto, fatto da più soggetti e quindi ricco di molteplici relazioni. Non è un progetto studiato a tavolino e calato dall’alto, o meglio, in parte lo è da parte dei Verdi, in quanto lo hanno stabilito con una loro mozione congressuale, ma il processo avrà tanto più possibilità di successo quanto più sfuggirà all’essere l’esecuzione del progetto di uno. In virtù di questa complessità i limiti che vi possiamo trovare sono infiniti. Tant’è che oltre a questa tua, ci sono da un lato i Verdi di Pecoraro Scanio che denunciano il percorso di aver svenduto i Verdi ad indefiniti (e opportunisti) Civici e, dall’altro lato, movimenti civici più integralisti che vedono in questa manovra un bluff dei Verdi per riciclarsi. Tu capisci che non possono essere vere entrambe le versioni e che quindi, probabilmente, non è in atto né la svendita del soggetto Verde né il tentativo di riciclo di una classe dirigente bollita, ma molto più semplicemente ciò che è nelle intenzioni ed è scritto sugli appelli. La sensazione di debolezza e inadeguatezza è in realtà il segnale che si è avviato un processo di incontro e contaminazione.
Che vi sia il pericolo di un uso strumentale di Alex non vi è dubbio. Lo percepii con fastidio all’iniziativa romana del novembre 2010 “The Green Way”, anche allora campeggiava uno striscione con una citazione di Alex e poi Bonelli fece un intervento appassionato dove distingueva tra progresso e sviluppo. “Noi siamo per il progresso non per lo sviluppo” disse più o meno. E lì mi chiesi se davvero non fosse più dignitoso non citare minimamente Alex se poi subito dopo si dimostra di non conoscerne minimamente il pensiero e il vocabolario. Tanto che la citazione che tu stesso riporti e che ripropongo di continuo dal maggio dell’anno scorso ad Amelia continua così: “Ma forse bisogna superare l'equivoco del 'progressismo': l'illusione del 'progresso' e dello 'sviluppo' alla fin fine viene assai meglio agitata da Berlusconi.”
Ma in questo caso no, il “Solve et coagula” è richiamato a ragione e con spirito sincero.
Ciò che è in atto, Valentino, non è il restyling del simbolo, dovesse essere questo non sarei qui a risponderti. Posso dirti che la proposta di referendum è stata una mediazione, un escamotage, per aggirare la divisione tra chi voleva presentare simboli diversi. Perché per esigenze di comunicazione si riteneva importante uscire dalla Convention con un simbolo. E tra l’altro la proposta di una parte maggioritaria delle persone coinvolte nella discussione era favorevole proprio al sole che ride (io no).
Salto un po’ di passaggi, che sostanzialmente condivido, per arrivare al vero nocciolo della questione: può il PD oggi essere l’espressione dell’ecologismo politico in Italia?
E’ possibile continuare a credere in una possibilità di riuscita della strategia degli ecodem? Io sono fermamente convinto che no, non è possibile. Per una semplice ragione dovuta agli interessi rappresentati dal PD stesso. Come ti spieghi, altrimenti, che la bella realtà degli amministratori dei comuni virtuosi, pur avendo anche in buona parte amministratori provenienti dal PD, oggi sentano fortemente la mancanza di un soggetto politico nazionale che riconosca, amplifichi, dia una cornice logica al loro ottimo lavoro e non sia una ulteriore difficoltà da superare? Ma ti rendi conto che Bassanini va a parlare negli incontri pubblici come rappresentante del comitato per i no ai referendum sull’acqua? Il PD vale le percentuali dei verdi tedeschi senza averne la chiarezza di contenuti e politiche. Sono gli ecodem i naturali ed indispensabili interlocutori di questo progetto non viceversa.
Il motto “Solve et coagula” Langer lo citò più volte, per sciogliere la federazione delle liste verdi prima ancora che nella lettera al PDS che ricordi, peccato il PDS, DS, PD (come a suo tempo i verdi) non lo abbia mai preso in considerazione, soprattutto in quella coda del discorso sull’illusione del progresso.
Ma oggi i progetti europei a cui facciamo riferimento, e di cui ci segnali giustamente i limiti e gli scricchiolii, poggiano su una idea di conversione ecologica dell’economia e della società. Dall’Italia potremmo portare un contributo in positivo dato che fu Alex a coniugarla in senso ampio e non limitarla alla riconversione industriale. Oggi abbiamo Guido Viale che ha ripreso il tema e soprattutto una prassi diffusa che a Roma ha avuto una prima occasione di incontro per la costruzione di un progetto politico che ha come più grande rischio il pericolo di cadere nella autoreferenzialità. Il mondo da coinvolgere non era a Roma, è fuori e i movimenti in corso, tanto nel mediterraneo quanto nelle nostre città con gli ultimi risultati elettorali, lo dimostrano. Occorre uscire dai nostri nuovi orticelli appena disegnati. Ce lo ha ricordato anche Jacopo Fo a Roma. Pensiamo che i popoli di Vendola e De Magistris non siano, al pari del M5S e molto altro, nostri naturali interlocutori? Pensiamo di poter procedere in modo autonomo?
Se da Roma riusciremo ad avviare un processo inclusivo non mi sembra assolutamente una novità da sottovalutare o, peggio, distruggere con critiche fin troppo facili in questa fase. Abbiamo bisogno di tutti con i limiti propri che ciascuno di noi ha. Sommando le singole volontà ce la faremo. Ma occorre più fiducia e meno diffidenza.
Un abbraccio
Pietro
Ho atteso un po' prima di scrivere qualcosa per riflettere e sedimentare le impressioni.
La valutazione è sostanzialmente positiva, ciò che è entrato in relazione riesce a creare qualcosa. Si è avviato un processo costruttivo includente. Non è poco.
Ovviamente è fin troppo facile individuare limiti e fare critiche a ciò che è stato fatto.
Metto qui alcuni link che danno un'idea di ciò che è avvenuto, poi una bella lettera critica del giovane Valentino Liberto e la mia risposta che fotografa il mio stato d'animo nei confronti del percorso avviato.
Qui le impressioni di Luciano Coluccia
Qui Michele Dotti
Marco Boschini
Giuliano Tallone
Si noterà l'assenza, ancora una volta, del genere femminile. A dire il vero Terra ha pubblicato un articolo di Pinuccia Montanari. Lo riporto per completezza di informazione ma ritengo politicamente del tutto irrilevante chi rimpiange il simbolo, l'identità verde, non muove foglia per costruire "il nuovo" (per dirla con Pino Romano) ed è pronto a muovere guerra a Bonelli per aver tradito il mandato congressuale (il senso del ridicolo non ha mai fine). Come potete vedere, il fatto che sia pubblicato sul sito dei Verdi Toscani (che non hanno mai riportato mezza parola su tutto il percorso costituente) è una risposta precisa a chi sostiene che la Costituente sono i verdi riciclati.
La sostanziale assenza del genere femminile nell'elaborazione fattiva del percorso è forse il segnale più allarmante dell'inadeguatezza del percorso stesso.
Ma veniamo alla bella lettera di Valentino:
Quale futuro per i Verdi in Italia?
pubblicata da Valentino Liberto il giorno mercoledì 1 giugno 2011 alle ore 12.21
Care/i amiche e amici, dopo l'entusiasmo della "rivoluzione arancione" di Milano e Napoli, desidero sottoporre alla vostra attenzione un contributo critico sulla Costituente ecologista (e "civica"), inviato al quotidiano 'Terra' - a proposito: fatemi sapere se per caso lo trovate pubblicato in versione cartacea, ieri od oggi o nei prossimi giorni. ;) La riflessione tiene conto del mutato scenario politico e delle sue conseguenze sul futuro dei Verdi italiani. p.s. Rinvio anche all'articolo odierno su 'La Stampa' a pag. 23 dal titolo «Cohn Bendit "rottamato" dalla nuova generazione verde»
Quel marchio inopportuno sulla Costituente ecologista.
L'uso strumentale del «solve et coagula» di Alexander Langer.
Con la delegazione dei Verdi-Grüne-Vërc di Bolzano/Bozen, ho preso parte il 21 e 22 maggio alla Convention della “Costituente ecologista” a Roma. Desidero condividere i dubbi che nutro dal weekend romano, discostandomi dal coro di opinioni positive che già s'è levato anche da questo quotidiano. La mia delusione non è compensata dalla prospettiva d'una nuova denominazione o di primarie (discutibili) per il restyling del simbolo dei Verdi, nell'intenzione di cestinare il “vecchio” Sole che ride; per quanti, come me, si ispirano al pensiero organico di un «mite combattente» verde come Alexander Langer, il mancato entusiasmo deriva dall'approssimazione nei contenuti e da una proposta politica piuttosto debole e inadatta, che si rivela ancora una volta più utile alla difesa del proprio orticello che alla società italiana. Premetto: non sono un fan del «verde-partito» e nemmeno dello spontaneismo più intransigente. Sono convinto, però, che per definirsi “puristi” occorra un surplus di formazione delle competenze su questioni etiche, democratiche ed economiche - pari solo all'articolata scuola politica dei Radicali. Qualora invece si volesse mettere da parte il dogmatismo verde degli “stili di vita” (ovvero della coerenza tra agire individuale e politiche collettive) puntando solo sulle grandi emergenze ambientali, dal riformismo democratico il passo sarebbe breve.
La profezia langeriana.
Nella prefazione al libro di F. Capra e C. Spretnak “La politica dei Verdi” del 1986, Alex Langer introdusse il «nuovo modo di far politica» verde: nel dibattito tra fondamentalisti e realisti («riformisti») si schierò coi secondi, in quanto «si pongono con urgenza il problema delle forze da aggregare (o cui allearsi) per ottenere cambiamenti significativi dal punto di vista ecologico; spesso pensano alla sinistra riformista come principale possibile interlocutore, senza preconcetti di schieramento». Le distanze tra temi ambientali e battaglie socialiste si accorciavano, così Langer avanzò una serie di ipotesi: «Basteranno pochi anni di presenza verde per “riciclare” le forze politiche tradizionali e rendere superflua un'autonoma presenza elettorale degli ecologisti? Vincerà la più consumata esperienza politica delle “vecchie volpi” contro l'ingenuità degli “orsetti panda” che si affacciano nelle istituzioni? Saranno i Verdi stessi che, a furia di interminabili processi decisionali, di consistenti “sprechi energetici” (a discutere intorno alla loro rappresentanza), si tarperanno le ali in modo tale da non poter competere sul piano elettorale? O sarà lo sciopero degli stessi Verdi contro la “politica” e la conseguente scelta di altri terreni di impegno a rendere breve e un po' marginale la presenza istituzionale dei rappresentanti politici ecologisti? […] Sembrerebbe quasi che la politica non sia un terreno congeniale ai Verdi. E tra gli stessi Verdi non manca chi, magari sotto l'esperienza di precedenti esperienze un po' settarie, vede il ruolo degli ambientalisti politici non dissimile a quello di un piccolo partito come ce ne sono già fin troppi in circolazione, invece che di latori di una proposta maggioritaria che non sopporterebbe la marginalizzazione nel ghetto dei duri e puri».
Neo-progressisti ed eco-sociali.
Alex Langer notò come il rovesciamento della polarizzazione destra/sinistra desse l'opportunità ai Verdi di raccogliere idealità smarrite dalle sinistre (magari rifugiate a destra, come «il senso della differenza contro un malinteso trionfo dell'uguaglianza») e di lanciare al conservatorismo la sfida sul terreno della tutela ambientale. La contrapposizione all'enfasi progressista per il cambiamento e alla competizione eretta a misuratore universale delle destre, generò tra i Verdi la semplificazione «né di destra né di sinistra». Ralf Fücks, co-presidente della fondazione verde “Heinrich Böll” e stratega tra i più brillanti dei Verdi tedeschi, tentò - non senza difficoltà - una ridefinizione del termine «progressiv» che lo svincolasse dall'idea di progresso propria della socialdemocrazia: si è “progressisti” in quanto costruttori d'un futuro «migliore» senza difese ideologiche dello status quo. Fücks individua punti di rottura tra le linee tradizionali che demarcano lo spettro politico (coalizioni destra-sinistra): vi sono estremismi complementari pro- o anti-mercato e al contempo ostili allo Stato o statalisti (liberismo e Linke), elementi “conservatori” nella SPD (ad es. sull'industrialismo) ed elementi “progressisti” tra i Liberali (sui diritti civili). Completano il quadro l'erosione del sistema bipolare e la ri-collocazione dei Grünen in un sostanziale processo riformista, più attento rispetto all'SPD alle sfide della globalizzazione e al nesso economia-ecologia. I Verdi si profilano come forza contemporanea, dinamica e innovatrice, concretizzando gli storici pilastri «ökologisch (saggezza ecologica), sozial (giustizia sociale), basisdemokratisch (democrazia partecipativa), gewaltfrei (non violenza)», come ribadito dal neo-governatore verde del Baden-Württenberg Winfried Kretschmann nel discorso d'insediamento, proponendo un «rinnovamento eco-sociale» per il ricco Land cattolico.
Un'identità in negativo.
Mentre i Grünen si posizionano in un campo che potremmo definire “linksliberal”, i nostri Costituenti ecologisti - poco inclini a tener presente il contesto nazionale - fanno riferimento all'esperienza «post-ideologica» dei cugini germanici. Ma la SPD non è il Partito Democratico in salsa tedesca: il programma (come l'agire) del Partito Democratico cerca di coprire anche la cultura politica e le idee che in Germania occupano i Verdi – che poi i democratici ci riescano o meno, è un altro problema. Cosa differenzia i Verdi ed ecologisti italiani da chi, con una prospettiva più solida e ampia, si occupa di ambiente nel PD? In Italia, gli ambientalisti più ragionevoli (che in Germania chiameremmo realos) e civici (bürgerlich), attenti alla sfera socio-economica e propensi al lavoro nelle istituzioni, stanno coi democratici. Bersani si considera segretario del «più grande partito ambientalista d'Italia» e, secondo i sondaggi, il PD vale più o meno le percentuali che i Verdi tedeschi hanno conquistato nelle ultime tornate elettorali. Il rischio è di fondare la propria ragion d'essere sulla speranza che l'apparato dirigenziale del PD non imbocchi mai la strada di un «ecologismo di qualità», come chiesto dal “rottamatore” Pippo Civati. E' davvero ragionevole scavalcare tale buonsenso e inseguire la via non meglio identificata della «trasversalità politica» e della «libertà di critica», che risolvi la dicotomia “destra/sinistra” proponendosi semplicemente come soggetto del centro politico od oltranzista?
Il «coagula» di Alex.
Secondo la mente lucida di Alex Langer - immancabilmente un poco più avanti degli altri, tanto da risultare sempre “inattuale” e mai del tutto preso sul serio - l'aggettivo “verde” non coincise con l'appartenenza al partito verde istituzionalmente inteso; è uno stato d'animo, un approccio politico alla società improntato ai valori generali dell'ecopacifismo. Non a caso, nel 1987 propose lo scioglimento delle Liste verdi dopo le elezioni, proposta che risulterà minoritaria. Langer vivrà sempre con fastidio la tendenza del movimento verde ad istituzionalizzarsi e a diventare partito, tanto che rifiuterà sempre il ruolo “ufficiale” di leader. Eppure, Angelo Bonelli in una recente intervista a Vanity Fair, non ha esitato ad affermare che «abbiamo deciso di applicare il motto di Alexander Langer “Solve et coagula”, dissolviamoci per coagulare». Peccato che queste parole, Langer le rivolse in una lettera indirizzata al PDS nel 1994, con l'auspicio che nascesse una formazione «meno partitica, meno ideologica e meno targata “di sinistra”»: «per aggregare uno schieramento nuovo e convincente bisognerà saper sciogliere e coagulare, unendo in modo saggio radicalità e moderazione». Langer era alla ricerca di una nuova sponda per un impegno sociale e politico che non conoscesse «né scorciatoie progressiste né rassicuranti giaculatorie verdi». «Occorre un forte progetto etico, politico e culturale, senza integralismi ed egemonie, con la costruzione di un programma e una leadership a partire dal territorio e dai cittadini impegnati. […] Da molte parti si trovano oggi riserve etiche da mobilitare che non devono restare confinate nelle “chiese”, nelle sagrestie di schieramenti e ideologie».
Innanzitutto «solve».
Dove sono finiti il respiro, la dimensione europea dell'europarlamentare sudtirolese? Può il solo binomio 'ecologisti e civici' raccogliere quest'eredità? L'emancipazione dalla Sinistra extra-parlamentare e il rivolgersi all'intero elettorato aldilà della logica dei blocchi, hanno portato ad accentuare un ecologismo considerato autosufficiente. E il passaggio dal radicalismo al pragmatismo è privo di auto-riforma: il “Sole che ride” ragiona ancora da partito, che deve per forza avere rappresentanza istituzionale. Non è un movimento che fa politica guardando sul lungo periodo, un orizzonte in cui l'elettoralismo è solo una componente: la rappresentanza elettorale è tutto e senza di essa non si esiste. Così facendo non si contribuisce a superare la politica dei tatticismi. Come definirsi “al servizio di tutti” trincerandosi ogni volta (con obbligo di accredito!) in un hotel romano, coi bicchieri di plastica e panini dal supermercato, con processi decisionali confusi, pulpiti e palchi anziché tavole rotonde e la presunzione di trovarsi già oltre gli schieramenti ideologici? Manca una prospettiva slegata dalla logica partitica (anche tra chi professa la “causa” civica) e che renda «socialmente desiderabile» un percorso costituente di natura soprattutto culturale. I Verdi devono avere il coraggio di sciogliersi nel composito universo associazionista e ambientalista, parlando dall'interno di esso, per recuperare credibilità (cioè rigore argomentativo) e influenzare i partiti dall'esterno; un movimento di opinione e pressione che sostenga, in caso di elezioni, anche candidati non esplicitamente verdi. Senza troppe concessioni all'antipolitica e senza ricadere nelle forme rigide di partecipazione organizzata.
La post-militanza intesa come scioglimento della politica nella società civile, un'autentica rigenerazione delle istanze eco-sociali ed eco-solidali nonché l'impegno nel “fare rete” tra le esperienze dell'arcipelago verde europeo, dovranno segnare un cammino coeso e pluriennale che – a mio parere – è ben incarnato dalla “Costituente ecologica” proposta da Langer, secondo cui «se non si arriverà a dare un solido fondamento [sociale] alla necessaria conversione ecologica, nessun singolo provvedimento sarà abbastanza forte da opporsi all’apparente convenienza che l’economia della crescita e dei consumi di massa sembra offrire». E l'Italia, il paese della frammentazione, ha urgente bisogno di queste nuove fondamenta.
Valentino Liberto,
già candidato dei Verdi-Grüne-Vërc al Consiglio provinciale e comunale di Bolzano/Bozen.
Infine la mia risposta:
Caro Valentino,
le tue osservazioni mi permettono di esprimere una valutazione sostanzialmente positiva del processo avviato, ma consapevole delle enormi difficoltà e dell’enorme sforzo ancora richiesto a tutti (tu compreso) per provare ad aprire una prospettiva per l’ecologismo politico in Italia.
Mi piacerebbe ragionare senza tirare in ballo Langer, perché forte è il pericolo di tirarlo per la giacchetta, per giustificare proprie convinzioni che magari hanno davvero poco a che vedere col suo pensiero. Ma con te lo posso fare e lo farò, perché conosco il tuo genuino interesse e la tua conoscenza del pensiero di Alex.
Tu dici “il mancato entusiasmo deriva dall'approssimazione nei contenuti e da una proposta politica piuttosto debole e inadatta, che si rivela ancora una volta più utile alla difesa del proprio orticello che alla società italiana”. Quale difesa? Di quale orticello parli? Non vedi che non c’è più niente?
La prima considerazione che ti invito a fare è che stiamo parlando di un processo dinamico in atto, fatto da più soggetti e quindi ricco di molteplici relazioni. Non è un progetto studiato a tavolino e calato dall’alto, o meglio, in parte lo è da parte dei Verdi, in quanto lo hanno stabilito con una loro mozione congressuale, ma il processo avrà tanto più possibilità di successo quanto più sfuggirà all’essere l’esecuzione del progetto di uno. In virtù di questa complessità i limiti che vi possiamo trovare sono infiniti. Tant’è che oltre a questa tua, ci sono da un lato i Verdi di Pecoraro Scanio che denunciano il percorso di aver svenduto i Verdi ad indefiniti (e opportunisti) Civici e, dall’altro lato, movimenti civici più integralisti che vedono in questa manovra un bluff dei Verdi per riciclarsi. Tu capisci che non possono essere vere entrambe le versioni e che quindi, probabilmente, non è in atto né la svendita del soggetto Verde né il tentativo di riciclo di una classe dirigente bollita, ma molto più semplicemente ciò che è nelle intenzioni ed è scritto sugli appelli. La sensazione di debolezza e inadeguatezza è in realtà il segnale che si è avviato un processo di incontro e contaminazione.
Che vi sia il pericolo di un uso strumentale di Alex non vi è dubbio. Lo percepii con fastidio all’iniziativa romana del novembre 2010 “The Green Way”, anche allora campeggiava uno striscione con una citazione di Alex e poi Bonelli fece un intervento appassionato dove distingueva tra progresso e sviluppo. “Noi siamo per il progresso non per lo sviluppo” disse più o meno. E lì mi chiesi se davvero non fosse più dignitoso non citare minimamente Alex se poi subito dopo si dimostra di non conoscerne minimamente il pensiero e il vocabolario. Tanto che la citazione che tu stesso riporti e che ripropongo di continuo dal maggio dell’anno scorso ad Amelia continua così: “Ma forse bisogna superare l'equivoco del 'progressismo': l'illusione del 'progresso' e dello 'sviluppo' alla fin fine viene assai meglio agitata da Berlusconi.”
Ma in questo caso no, il “Solve et coagula” è richiamato a ragione e con spirito sincero.
Ciò che è in atto, Valentino, non è il restyling del simbolo, dovesse essere questo non sarei qui a risponderti. Posso dirti che la proposta di referendum è stata una mediazione, un escamotage, per aggirare la divisione tra chi voleva presentare simboli diversi. Perché per esigenze di comunicazione si riteneva importante uscire dalla Convention con un simbolo. E tra l’altro la proposta di una parte maggioritaria delle persone coinvolte nella discussione era favorevole proprio al sole che ride (io no).
Salto un po’ di passaggi, che sostanzialmente condivido, per arrivare al vero nocciolo della questione: può il PD oggi essere l’espressione dell’ecologismo politico in Italia?
E’ possibile continuare a credere in una possibilità di riuscita della strategia degli ecodem? Io sono fermamente convinto che no, non è possibile. Per una semplice ragione dovuta agli interessi rappresentati dal PD stesso. Come ti spieghi, altrimenti, che la bella realtà degli amministratori dei comuni virtuosi, pur avendo anche in buona parte amministratori provenienti dal PD, oggi sentano fortemente la mancanza di un soggetto politico nazionale che riconosca, amplifichi, dia una cornice logica al loro ottimo lavoro e non sia una ulteriore difficoltà da superare? Ma ti rendi conto che Bassanini va a parlare negli incontri pubblici come rappresentante del comitato per i no ai referendum sull’acqua? Il PD vale le percentuali dei verdi tedeschi senza averne la chiarezza di contenuti e politiche. Sono gli ecodem i naturali ed indispensabili interlocutori di questo progetto non viceversa.
Il motto “Solve et coagula” Langer lo citò più volte, per sciogliere la federazione delle liste verdi prima ancora che nella lettera al PDS che ricordi, peccato il PDS, DS, PD (come a suo tempo i verdi) non lo abbia mai preso in considerazione, soprattutto in quella coda del discorso sull’illusione del progresso.
Ma oggi i progetti europei a cui facciamo riferimento, e di cui ci segnali giustamente i limiti e gli scricchiolii, poggiano su una idea di conversione ecologica dell’economia e della società. Dall’Italia potremmo portare un contributo in positivo dato che fu Alex a coniugarla in senso ampio e non limitarla alla riconversione industriale. Oggi abbiamo Guido Viale che ha ripreso il tema e soprattutto una prassi diffusa che a Roma ha avuto una prima occasione di incontro per la costruzione di un progetto politico che ha come più grande rischio il pericolo di cadere nella autoreferenzialità. Il mondo da coinvolgere non era a Roma, è fuori e i movimenti in corso, tanto nel mediterraneo quanto nelle nostre città con gli ultimi risultati elettorali, lo dimostrano. Occorre uscire dai nostri nuovi orticelli appena disegnati. Ce lo ha ricordato anche Jacopo Fo a Roma. Pensiamo che i popoli di Vendola e De Magistris non siano, al pari del M5S e molto altro, nostri naturali interlocutori? Pensiamo di poter procedere in modo autonomo?
Se da Roma riusciremo ad avviare un processo inclusivo non mi sembra assolutamente una novità da sottovalutare o, peggio, distruggere con critiche fin troppo facili in questa fase. Abbiamo bisogno di tutti con i limiti propri che ciascuno di noi ha. Sommando le singole volontà ce la faremo. Ma occorre più fiducia e meno diffidenza.
Un abbraccio
Pietro
Questione di contenitori (1/2).
RispondiEliminaCaro Pietro, come puoi immaginare, rispondere al tuo commento articolato non è semplice. Di fronte all’onestà intellettuale che dimostri, infatti, non mi permetto di mettere in discussione né i buoni propositi del tuo impegno per la Costituente (che non si limitano, da parte tua, a dichiarazioni d’intenti) né le loro ragioni ideali, perseguite attraverso un lavoro “carsico” dal quale spero possano presto emergere alla luce del sole (che ride;) le risorse umane investite. Premesso questo, proverò a chiarire alcuni passaggi senza aggiungere troppo al ragionamento iniziale, giocoforza più lineare.
Non sono diffidente né voglio spegnere sul nascere entusiasmi e aspettative, volontà e fiducia altrui. Trovo da sempre affascinante e auspicabile la prospettiva che tratteggi, altrimenti non sosterrei i Verdi sul piano locale ed europeo. Credo fermamente, nel medio-lungo periodo, che anche in Italia soffierà forte il vento dell’ecologismo e - come già avviene oggi - ci sarà un mondo di persone ed esperienze capace di convogliarlo. Se alle elezioni europee avessimo una scheda unica per tutto il continente, coi simboli dei gruppi parlamentari a Strasburgo... ma questa è un’altra storia. In altre parole: lungi da me affossare la Costituente, semmai voglio contribuire a fare meglio e migliorare.
Il problema, a mio parere, riguarda il profilo che vorremo dare non solo alla nostra “identità” di verdi ed ecologisti (in termini di credibilità, preparazione e coerenza, non confinate negli orticelli «appena disegnati») quanto a un’alternativa di governo “organica” e in grado di farsi portatrice delle nostre energie, nella viva speranza di un’Italia finalmente più giusta. Plasmare una civiltà “laica” convertita all’autolimitazione, equilibrata e cosciente, semplice e vivibile per tutti, senza dogmi né violenza, è una sfida comune a chiunque abbia a cuore il futuro.
In questo senso, anteporre la logica pregiudiziale del «né destra né sinistra» - oltre ad amplificare il significato di queste collocazioni senza depotenziarle affatto - trasmette la sensazione che si preferisca “ritagliare” uno spazio tra i blocchi e “contrattare” con l’esterno. Appunto: cadere nell’autoreferenzialità. Di qui la confusa geografia degli interlocutori (PD ma anche Grillo, Sel ma anche Idv etc) giocata già di per sé sul terreno scivoloso delle alleanze - ma dimenticando che intanto, quegl’altri soggetti, esistono e si rafforzano ogni giorno che passa. Certo, c’è chi ha parla di «autonomia» degli ecologisti. Ma se all’interno di qualsivoglia nuovo “contenitore” prevarrà una sostanziale identità di vedute, non ripeteremo certo lo psicodramma della Sinistra arcobaleno, dove la dirigenza andava in una direzione e l’opinione pubblica (persino dentro i Verdi) dall’altra. Ho l’impressione che alcuni non abbiano rielaborato il lutto del fallimentare estremismo rosso-verde.
Questione di contenitori (2/2).
RispondiEliminaIl «coagula» - come processo di incontro e contaminazione reciproca - avviene quindi ancora “in negativo”: ci si alimenta di percorsi precedenti e/o provenienti da altre aree politiche, e si cerca di fare sintesi per ottenere una trasversalità politica ecologista. Questo nel solco di un’avventura non sempre felice (i Verdi) e allargando la strada ad altri “sentieri interrotti” tagliati fuori dai giochi della politica istituzionale. E’ dunque fisiologico incorrere nella parziale artificiosità di una operazione “in vitro”, dove non basta il calore del sole ma è necessaria una piccola serra. Di qui, il rischio dell’orticello verde: portare acqua al nostro mulino (per la percezione di restare inascoltati e privi di riconoscimento) e non al sistema, alla realtà che ci circonda, a quest’Italia febbricitante.
Il PD non avrà preso in considerazione il «solve» langeriano (anche se il processo s’è innescato: i DS non sono il PD e un rimescolamento è avvenuto - pensiamo alle primarie) né il progresso come illusione, ma per me non rappresentano un motivazione sufficiente a schierarsi apertamente al di fuori dell’alveo democratico, tanto più col taglio moderato e simil-riformista che ora vogliono darsi gli ecologisti. Il PD è pur sempre un “grande contenitore” con precise responsabilità verso il paese e un approccio programmatico a suo modo trasversale alle anime del centrosinistra. Il mio riferimento al simbolo e nome “restaurato” degli Ecologisti voleva evocare la tendenza un po’ feticista a trasformare i piccoli soggetti politici in giocattoli. L’interesse nell’attirare persone attorno a sé, esprimendosi però con termini da dirigenza («contendenti» o «interlocutori», «saper prendere i voti di» etc.), potrebbe riprodurre in miniatura le strategie dei grandi partiti e “riciclare” - questo sì - la stagione del verde-partito, pur con una veste più democratica. Costruire una forza politica, anche dal basso, comporterà sempre delle scelte, una selezione tra chi voler coinvolgere (o vuole essere coinvolto) nel progetto: rivolgendosi a tutti, c’è chi entrerà e si unirà a noi, ma c’è chi resterà fuori.
Bisogna essere consapevoli di questa spirale includente-escludente: l’ambizione di trasversalità e apertura non sarà utile finché altri non rinunceranno a stare dove stanno (parlo di associazioni, movimenti, esponenti politici). E da loro, poi, occorrerà distinguersi in caso di competizione elettorale. Siamo certi che di questo passaggio abbia bisogno l’ecologismo italiano e soprattutto i cittadini, i giovani, gli elettori o i disillusi? Non c’è il rischio di frammentare nuovamente la già variegata piattaforma ambientalista dello stivale? Infine, lancio una provocazione che potrà risultare supponente: non sarebbe stato più umile e lungimirante elaborare e promuovere appelli dello stesso respiro e con eguali intenzioni nei contenuti, senza però prefissarsi nell’immediato la creazione d’un «soggetto politico ecologista» (con modelli all’estero da imitare e un congresso fondativo già programmato), lasciando che fosse il percorso di dialogo con la società e i partiti a suggerirci quale idea di futuro dovrà realizzare (e a quale “luogo” dovrà affidarsi) l’ecologia in Italia? Può essere l’assenza di un contenitore “adatto” la principale motivazione del cammino intrapreso?
p.s. Pietro, scorrevo gli articoli sul tuo blog e m'è capitato di leggere una lettera indirizzata ad Adriano Sofri nel lontano 2007. Tra i tanti, c'è un passaggio che mi sento di condividere totalmente, perché espone con efficacia alcuni pensieri ispiratori anche del mio sopraccitato intervento sui Verdi:
RispondiElimina"Ma veniamo alla proposta indecente. I Verdi hanno il grande limite di non essere un vero e proprio partito. Paghiamo a caro prezzo un errore di gioventù. Eravamo anime candide e belle, i partiti li vedevamo come cosa sporca, eravamo movimentisti, affascinati dal “solve et coagula” di Alex e da un forte federalismo locale (ben prima della lega). Bene, questo ha permesso che andassero avanti abili galleggianti ma che non si selezionasse mai una adeguata e preparata classe politica. Come non ci è mai appartenuta, all’inizio, l’idea di una leadership forte. Oggi abbiamo la possibilità di mettere radici. Un partito Verde serio e credibile può aspirare senza troppa utopia a superare la soglia di un ipotetico sbarramento del 4%. So che “serio e credibile” sono parole difficilmente associabili ai verdi. Ma venga a vedere un po’, dai livelli locali al ministero, dall’assessorato regionale a quelli provinciali e comunali. Può anche darsi che ancora non si sia in grado di raggiungere la fatidica soglia. Ebbene ben venga la sua “Riforma mancata”, stiamo fermi un giro, costruiamo il partito sul volontariato, magari prestiamo le nostre migliori risorse ai vari schieramenti (chi si sente più vicino al PD si candidi con il PD, chi con la Sinistra Plurale faccia altrettanto), recuperiamo l’idea di Pannella del partito transpartitico. Disseminiamoci non a caso, ma con cognizione di causa. Proviamo davvero ad essere sale e lievito." http://conversionecologica.blogspot.com/2011/03/mangiarsi-le-mani-o-costruire.html
Ecco. Disseminiamoci e "saltiamo" qualche giro di giostra elettorale.
Bene!
RispondiEliminaI punti in comune:
1. Crediamo fermamente, nel medio-lungo periodo, che anche in Italia soffierà forte il vento dell’ecologismo e - come già avviene oggi - ci sarà un mondo di persone ed esperienze capace di convogliarlo. Se alle elezioni europee avessimo una scheda unica per tutto il continente, coi simboli dei gruppi parlamentari a Strasburgo…
2. Il problema riguarda il profilo che vorremo dare non solo alla nostra “identità” di verdi ed ecologisti quanto a un’alternativa di governo “organica” e in grado di farsi portatrice delle nostre energie, nella viva speranza di un’Italia finalmente più giusta. Plasmare una civiltà “laica” convertita all’autolimitazione, equilibrata e cosciente, semplice e vivibile per tutti, senza dogmi né violenza, è una sfida comune a chiunque abbia a cuore il futuro.
3. Bisogna essere consapevoli di questa spirale includente-escludente: l’ambizione di trasversalità e apertura non sarà utile finché altri non rinunceranno a stare dove stanno (parlo di associazioni, movimenti, esponenti politici). E da loro, poi, occorrerà distinguersi in caso di competizione elettorale. Siamo certi che di questo passaggio abbia bisogno l’ecologismo italiano e soprattutto i cittadini, i giovani, gli elettori o i disillusi? Non c’è il rischio di frammentare nuovamente la già variegata piattaforma ambientalista dello stivale?
La domanda finale: non sarebbe stato più umile e lungimirante elaborare e promuovere appelli dello stesso respiro e con eguali intenzioni nei contenuti, senza però prefissarsi nell’immediato la creazione d’un «soggetto politico ecologista» (con modelli all’estero da imitare e un congresso fondativo già programmato), lasciando che fosse il percorso di dialogo con la società e i partiti a suggerirci quale idea di futuro dovrà realizzare (e a quale “luogo” dovrà affidarsi) l’ecologia in Italia? Può essere l’assenza di un contenitore “adatto” la principale motivazione del cammino intrapreso?
Mi è fin troppo facile mettere qui un link a radio radicale http://www.radioradicale.it/scheda/291148/un-futuro-ecologista-ripartiamo-dal-pensiero-verde-per-una-nuova-costituente-ecologista-convention-con-il- con il mio intervento del novembre 2009. Chiedevo di promuovere gli stati generali dell’ecologismo, di cominciare a lavorare insieme e costruire un percorso insieme. Ma io sono io, uno e parziale e se ciò che manca è un “contenitore adatto”, non posso che confrontarmi e lavorare con chi ha la stessa consapevolezza, avverte la stessa mancanza. Mi sembra questo il minimo comun denominatore. Poi, come sempre, i processi vanno nella direzione impressa dall’incontro delle varie forze e più chi potrebbe premere in una direzione sta fuori, più il soggetto complessivamente si muoverà nella direzione risultante dall’incontro delle varie forze escluso la sua. Sono le famose mala profezie che si auto avverano. Io non sto nel processo costituente perché è un balocco dei Verdi, quindi ci lascio solo i verdi e dopo posso dire: “hai visto avevo ragione!”. Ma l’evidenza dei fatti dimostra che non è così. Che il processo avviato è molteplice e contraddittorio e tutto ciò che in un dato momento è stato stabilito e sembrava una certezza (date di assemblee costituenti comprese) è progressivamente saltato per lasciare spazio alle esigenze nuove che nascevano dall’incontro dei vari soggetti.
C’è un problema di fondo di difficile soluzione. Come convinci gli altri a rinunciare a stare dove sono? Io credo costruendo un percorso chiaro, aperto, trasparente, svincolato dalle scadenze elettorali. Lo chiedo da sempre e fino ad oggi non ne siamo stati sufficientemente capaci. Anche io non sono stato capace. Oggi abbiamo la promessa da parte di Michele Dotti e Marco Boschini che a breve verrà proposto questo percorso. Aspettiamo, vediamo. Certo aver già detto quale sarà la data dell’assemblea capisco susciti dubbi (e Pino Romano lo ha evidenziato), ma se ci mettiamo in una posizione di reciproca comprensione è palese il motivo dell’espressione di tale data. Da oltre un anno viene annunciata e rimandata per fare spazio a varie richieste e sicuramente vi è una parte dei soggetti coinvolti che sentono l’esigenza di chiudere, di partire, di non lasciare un percorso aperto all’infinito. La Costituente Ecologista delle regole se le era date se in molti non vi hanno partecipato e chi vi ha partecipato non è riuscito a lavorare in modo costruttivo è responsabilità di tutti. Di chi c’era e chi non c’era. Partiamo in modo chiaro e trasparente, ve ne dovesse essere bisogno non credo sarà un dramma spostare il termine dell’assemblea.
RispondiEliminaPer quanto riguarda la tua battuta sulla scheda elettorale europea ti rassicuro che è opinione ampiamente maggioritaria che nel simbolo si faccia comunque riferimento ai verdi europei.
E qui veniamo ad un secondo grosso nodo della questione.
Io credo che le tue belle riflessioni risentano comunque della tua collocazione geografica, se invece che di Bolzano tu fossi di Palermo probabilmente tutto il nostro discorso andrebbe (e va) affrontato in maniera diversa.
Ce lo ricordano i Movimenti Civici di Sicilia, che non nascono intorno ad un progetto “ecologista” in senso stretto, ma da ben altre emergenze democratiche. Eppure è stato grazie a questo modo di procedere spontaneo e sconnesso che ci siamo incontrati (ovvero il lavoro inesauribile di Michele Dotti), non credo ciò sarebbe mai avvenuto con la convocazione degli Stati Generali dell’ecologismo politico ecc.
Non stanno la democrazia, i diritti, la pace, la giustizia, dentro un discorso ecologista? La cosa bella è che un rapido vettore di avvicinamento tra i due mondi è stato proprio Alexander Langer.
Ed ora veniamo alla contraddizione.
Se i verdi italiani, con la loro storia degli ultimi anni hanno allontanato soggetti di fatto ecologisti dalla parola ecologisti e dal partito verde vogliamo farcene carico in una ipotesi di ricostruzione di un soggetto politico ecologista in senso ampio?
Diamoci il tempo per incontrarci e parlare, non sarà un problema trovare la soluzione.
Un’ultima battuta mi verrebbe da fare sugli esponenti politici che non rinunciano a stare dove stanno o che non si spendono minimamente in questo percorso. Purtroppo da molto tempo la politica italiana insegue con moltissimo ritardo la società, scontiamo anche adesso questo vizio, accostato alla ricerca del posto se non garantito più probabile. E noi, lo vedi da te, siamo altamente improbabili.
Speriamo che a breve la situazione migliori.
Un abbraccio
Pietro
Caro Valentino, la mia lettera ad Adriano è del 2007, siamo nel 2011 e più sparpagliati di così!!!!:-)
RispondiEliminaE' giunto il momenti coagulare, senza fretta, ma la direzione è questa. La spinta viene da più parti e non può restare ignorata.
Mi rendo conto che dopo tanto parlare forse ho eluso la tua domanda. Sì, è una questione di contenitori.
RispondiEliminaquello di Pinuccia mi sembra un intervento interessato e militante per la causa che sembra voler sostenere e quindi mi permetto di affermare che è in malafede, mentre Valentino offre spunti di riflessione interessanti che mi propongo di discutere sul mio blog
RispondiEliminaCari Pietro e Valentino condivido molte delle cose che dite ma mi perdo in questo confronto a due prolungato. Ho letto anche anche gli interventi di Dotti, Boschini e Tallone che sono gli organizzatori e quindi molto entusiasti e poco propensi a cogliere criticità. Gli interventi femminili credo non ci siano perchè non c'è protagonismo femminile e, come ho già detto gli organizzatori, non c'è stimolo a dare contributi non richiesti ed anche respinti. Io continuo a confrontarmi con molte donne sul quadro politico dopo le amministrative, sui referendum e sulle nostre priorità. Sono molto contenta che Pino venga a curiosare a Genova anche se non sarà semplice mettere insieme due mondi separati. Forse il dibattito riprenderà dopo i referendum. Io comunque aspetto sempre di conoscere proposte di regole e di prosecuzione del processo e nel frattempo ho organizzato con convegno con Donne Ecodem (Fulvia Bandoli) Sel (Monica Cerutti e la neo assessora Pellerino) di IDV Cristina Spinosa ex-verde, ora segr prov. IDV e neo assessore, PD Bragantin segr. provle PD. Dopo le uscite da trombone di Grillo e la spaccatura con la base ritengo urgentissimo avere rapporti con i grillini e mi chiedo chi lo possa fare. A livello locale io ho fatto un incontro prima delle elezioni. La candidata di Pallante non ha raggiunto l'1% e quello della costituente ecologista lo 0,28 e quindi non sono interlocutori politici in questo momento. Vi farò sapere dopo il 30 giugno cosa uscirà se vi interessa. Un abbraccio Laura
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