Lettera a Severino Saccardi, direttore di "Testimonianze". Contributo per il numero 478 di prossima uscita.

Con un ringraziamento per la diffusione anticipata alla redazione di "Testimonianze", rivista fondata da Ernesto Balducci.

Acqua bene comune, cambiamento di paradigma epocale.

Caro Severino,
scusa se ancora una volta interloquisco direttamente con te con la forma della lettera, ma mi aiuta molto ad esprimere ciò che il tema che ci proponi va a fare emergere del poco del mio sapere sul tema specifico e del molto riguardante un’analisi più complessiva in cui il tema si inserisce a pieno titolo e di cui più volte abbiamo accennato a discutere. Mi perdonerai quindi, se pur partendo dal tema dato, allargherò un po’ i termini della discussione stessa.

Sicuramente altri citeranno il bel libro di Vandana Shiva Le guerre dell’acqua (Feltrinelli, 2003), credo sia un testo fondamentale per chiunque voglia affrontare il tema. A me preme soffermarmi su alcune delle premesse del libro stesso che oggi trovano piena conferma nel recente risultato referendario e segnalano (finalmente) un cambiamento di paradigma di fondo in atto nella società.

Vandana Shiva ci ricorda come “Più di qualsiasi altra risorsa, l’acqua deve rimanere un bene pubblico e necessita di una gestione comune. In effetti, in gran parte delle società, ne è esclusa la proprietà privata. Testi antichi come le Institutiones di Giustiniano indicano che l’acqua e altre fonti naturali sono beni pubblici: «Per legge di natura questi elementi sono comuni a tutta l’umanità: l’aria, l’acqua dolce, il mare, e quindi le sponde del mare». In paesi come l’India, lo spazio, l’aria, l’acqua e l’energia sono tradizionalmente considerati esterni ai rapporti di proprietà. Nelle tradizioni islamiche, la Sharia, che originariamente connotava il «cammino verso l’acqua», fornisce la base fondamentale per il diritto all’acqua. Gli stessi Stati Uniti hanno avuto molti sostenitori dell’acqua come bene comune. «L’acqua è un elemento mobile, itinerante, e deve pertanto continuare a essere un bene comune per legge di natura», scriveva William Blackstone, «così che io posso averne solo una proprietà di carattere temporaneo, transitorio, usufruttuario».

Perdona la lunghezza della citazione e la suddivisione in tre parti, ma qui credo stiano racchiusi i tre temi fondamentali che indicano il cambiamento radicale in parte in atto, ma in altrettanta buonissima parte da fare, con un durissimo “scontro”* con i così detti “poteri forti”.

“L’introduzione delle moderne tecnologie di estrazione ha accresciuto il ruolo della stato nella gestione dell’acqua. Man mano che le nuove tecnologie soppiantano i sistemi di autogestione, le strutture democratiche di controllo da parte delle popolazioni si deteriorano e il loro ruolo nella conservazione si riduce. Con la globalizzazione e la privatizzazione delle risorse idriche, si rafforza il tentativo di erodere completamente i diritti dei popoli e rimpiazzare la proprietà collettiva con il controllo delle grandi aziende. Il fatto che al di là dello stato e del mercato esistano comunità di persone in carne e ossa con bisogni concreti è qualcosa che, nella corsa, alla privatizzazione, viene spesso dimenticata.”

Terzo ed ultimo fondamentale passaggio:

“In tutto il mondo, nel corso della storia, i diritti idrici hanno assunto la loro forma prendendo in considerazione contemporaneamente i limiti degli ecosistemi e le necessità della popolazione. Il fatto che la radice del termine urdu abadi, insediamento umano sia ab, acqua, riflette lo sviluppo di insediamenti umani e civiltà lungo i corsi d’acqua. La dottrina del diritto ripario - il diritto naturale all’uso dell’acqua da parte degli abitanti che fanno capo per il sostentamento a un determinato sistema idrico, soprattutto un sistema fluviale - nasce anch’essa da questo concetto di ab.”

Nel primo passaggio è ben descritto e rappresentato il concetto di acqua come “bene comune”, nel secondo passaggio è evidenziato “il ruolo della tecnologia” nel processo di privatizzazione ed espropriazione dei diritti dei popoli, nel terzo la necessaria considerazione dei “limiti degli ecosistemi” nella formazione dei diritti idrici.

Beni comuni, ruolo della tecnologia e concetto di limite ci rimandano necessariamente ad un pensatore caro a Vandana Shiva e troppo dimenticato: Ivan Illich.

L’abbandono dell’idea di “bene comune” a vantaggio dell’istaurarsi dei bisogni, l’analisi spietata dell’altra faccia dello sviluppo tecnologico e dei suoi singoli “strumenti” con il suo distruggere culture tradizionali autosufficienti, il tutto a partire dal non riconoscimento dei “limiti naturali” sta alla base del suo imponente, profetico ed oggi più che mai attuale, lavoro.

Caro Severino, mi premeva giungere qui per riprendere un discorso avviato più volte. Io credo che vedere i limiti intrinseci di un sistema (ed il suo volgere al declino), non debba necessariamente significare non vedere i vantaggi, le cose buone, il progresso sociale che questo sistema ha portato. Altrettanto errato sarebbe, in virtù di questo “progresso”, sottovalutare gli “effetti collaterali”, pena non fare in tempo ad apportare i necessari cambiamenti.

Seguendo il pensiero di Ernesto Balducci, profondamente diverso se non opposto in punti come questo da quello di Illich, ci siamo trovati sempre dalla stessa parte nella lotta per i Diritti Umani, che non devono mai essere subordinati a ragioni di geopolitica, siano queste di chi è attualmente al governo (che fanno chiudere gli occhi su Tibet, paesi arabi, Israele, Iran, Cina, Africa ecc.) siano di chi si dichiara di sinistra (che fanno chiudere gli occhi su America Latina, Tibet, paesi arabi, Palestina, Iran, Cina, Africa ecc.). Il concetto di Diritti Umani è uno dei frutti della globalizzazione. Non ricordo di aver mai sentito pronunciare da Ivan Illich le parole “Diritti Umani”. Suppongo le considerasse la naturale conseguenza della degenerazione dei “beni comuni” in “bisogni” e quindi nella necessità della nascita dei “diritti” alla soddisfazione dei bisogni stessi. Ma ricordo molto bene cosa rispose ad una domanda specifica di David Cayley sul suo non curarsi della fame nel Sahel. “Farò tutto quello che mi è possibile per eliminare dal mio cuore ogni senso di cura nei loro confronti. Voglio sperimentare l’orrore. Non voglio sfuggire al mio senso d’impotenza e cadere nella pretesa di potermi prendere cura di loro (…) Voglio vivere con l’ineludibile orrore di questi bambini, di queste persone, nel mio cuore e sapere che non posso amarli realmente, attivamente. Perché amarli –per come la penso dopo aver letto la storia del buon Samaritano - significa lasciare tutte le cose che sto facendo in questo momento e occuparmi di quella persona.” (Conversazioni con Ivan Illich. Un profeta contro la modernità. Elèuthera Editrice, 1994)
L’analisi di Illich, cioè, è tutta tesa ad evidenziare l’uccisione di qualità prettamente umane a favore di una istituzionalizzazione dei compiti: non mi preoccupo di passare il mio sapere acquisito ai miei figli, ci pensa la scuola; non mi preoccupo del malato e del ferito, ci pensa l’ospedale; non mi preoccupo dell’anziano -di cui nemmeno dovrei “preoccuparmi” in quanto risorsa e fonte di sapere e saggezza per l’intera famiglia- ci pensa lo “stato sociale” ecc. (e mi perdonino gli estimatori di Illich per la semplificazione che rasenta la banalizzazione del suo pensiero).
“Il passaggio radicale dal vernacolare alla lingua insegnata presagisce il passaggio dal seno al biberon, dalla sussistenza all’assistenza, dalla produzione per l’uso alla produzione per il mercato” diceva.

Oggi siamo arrivati al capolinea.
La società della crescita, dello sviluppo, del consumismo, che tanto Illich ha analizzato partendo dai cambiamenti semantici, dai cambiamenti di significato delle parole o dai cambiamenti delle parole per designare un significato, è arrivata alla fine della sua corsa e nel divorare se stessa da spazio, grazie a Dio, ai propri anticorpi.
Il concetto astratto di Diritti Umani si ricongiunge al fatto che lo studente iraniano è compagno di corso di mia nipote, oppure, grazie alle nuove tecnologie, è mio amico su fb, posso vederne il volto su Youtube e posso rispondere immediatamente ad un suo appello che mi invia via e-mail. Diventa cioè, per tornare ad Illich, “l’ebreo caduto nelle mani dei predoni” ed io sono posto nelle condizioni del samaritano. Diventa “il mio prossimo” incontrato per le vie del villaggio globale.
Lo stesso “cambiamento forzato e potenziale”si può vedere a margine dei fenomeni di immigrazione. Pensiamo alla nostra capacità perduta di ospitare lo straniero (sempre grazie all’istituzionalizzazione), di mettere in casa propria il pellegrino o il profugo, e vediamo quanto questa si recuperi “forzatamente” nelle zone di sbarco dei profughi, o con il fenomeno delle “badanti” che crea legami di conoscenza ed a volte di vera e propria amicizia con culture “altre”. Ovviamente sto parlando di tendenze marginali e minoritarie rispetto alla diffusione del disinteresse verso i Diritti Umani e vera e propria intolleranza nei confronti dello straniero (anche se badante del proprio genitore), ma sono quei luoghi (insieme agli asili e alle scuole dove i nostri figli crescono in classi multietniche) dove si “sviluppano” gli anticorpi al degrado sociale e culturale (che poi è una delle facce della crisi che si manifesta oggi prepotentemente anche sul piano ecologico, economico e politico).

Tutto questo può sembrare scollegato al tema dell’acqua, ma non lo è. Anche per l’acqua siamo arrivati ad un punto in cui “il sistema”- ebbene sì, dovremmo trovare il coraggio di riutilizzare questa parola (senza abusarne e senza ipotizzare contro-sistemi peggiori del male)- ha prodotto l’assurdo che l’acqua, bene primario per ogni essere vivente, diventa “proprietà” (metto tra virgolette per rispetto di coloro che distinguono la proprietà della gestione da quella del bene, come si potesse dire: “ti chiudo il rubinetto che è mio, ma l’acqua è tua!”) di multinazionali quotate in borsa.
Intorno a questa contraddizione esplicita si è creato un movimento mondiale che in Italia si è manifestato con la creazione del Forum italiano dei movimenti per l’acqua: aggregazione “di culture ed esperienze differenti”, con l’obiettivo esplicito di fare divenire “la battaglia per l’acqua il paradigma di un altro modello di società” (dalla presentazione chi siamo sul sito web del forum http://www.acquabenecomune.org/spip.php?article=6137). Il Forum si caratterizza per la forte modalità partecipativa e per la creatività che porterà alla presentazione di una proposta di legge di iniziativa popolare a favore della ripubblicizzazione del servizio idrico con oltre 400.000 firme raccolte e, successivamente, a promuovere il comitato per la campagna referendaria “L’acqua non si vende”, raccogliendo, sui quesiti referendari, quasi un milione e mezzo di firme. Bene comune e partecipazione sono le parole chiave del successo del forum. Ma anche questa, per quanto significativa, sarebbe restata una buonissima esperienza “laboratorio” (ottima fino alla legge di iniziativa popolare, ma che ha giocato fortemente d’azzardo sulla proposta referendaria. Una scelta, a mio modesto avviso politicamente incosciente che avrebbe potuto far fare grossi passi indietro all’intero movimento in caso di insuccesso), che non avrebbe ottenuto l’auspicato successo referendario non vi fosse stato il sovrapporsi di cause diverse mobilitanti al voto. Lo scontato accorpamento in un’ unica data elettorale anche dei referendum riguardanti il nucleare e legittimo impedimento, la catastrofe giapponese con l’esplosione della centrale atomica di Fukushima e la conseguente acquisizione popolare dei rischi che l’energia nucleare comporta, il tentativo vergognoso del Governo di affossare il referendum sul nucleare, l’esasperazione popolare crescente nei confronti di una politica sempre più lontana dai cittadini (che si manifesta con i sorprendenti risultati elettorali alle elezioni amministrative che si svolgono pochi giorni prima del referendum), fanno sì che dopo anni di ripetuti insuccessi referendari il quorum venga ampiamente superato con una percentuale plebiscitaria di sì su tutti i quesiti.

Il messaggio complessivo che viene dal risultato referendario travalica il tema dell’ “acqua bene comune”. Comprende il bisogno di legalità e rispetto delle regole da parte di tutti e comprende il tema altrettanto fondamentale dell’energia (anche qui con un cambiamento di paradigma altrettanto importante verso una democrazia energetica, fondata sul risparmio e la produzione diffusa da fonti rinnovabili). Il tutto, ripeto, in una cornice di disaffezione generale verso tutta la classe politica, e del governo in primis, e di voglia di riappropriarsi di un protagonismo politico annullato da molto tempo dall’autoreferenzialità sempre più accentuata di tutti i partiti. Per pura coincidenza l’incontrarsi momentaneo di percorsi e necessità diverse ha portato il nostro paese ad una vittoria che giustamente viene considerata storica. Sbaglia chi prova a cavalcarne l’esito per strumentali fini elettorali anti-Berlusconi in modo semplicistico, come sbaglia chi non prova ad analizzarne i cambiamenti di paradigma profondi che spazzano via tanto Berlusconi (punta di diamante del sistema al capolinea) quanto buona parte, se non tutta, una classe politica tanto di destra quanto di sinistra incapace di leggere ciò che sta avvenendo. Certo è che, anche se da solo non sarebbe stato sufficiente per la vittoria referendaria, il tema dell’acqua-bene comune è il cuore stesso del messaggio complessivo che esce dalle urne. E’,per tornare ad Illich, un passo indietro sul piano semantico dal concetto di “bisogno” al recupero dell’idea di “bene comune”. Può sembrare poco, ma non lo è. Come “l’era dello sviluppo” per dirla sempre con Illich, ha inizio con le parole di Truman nel ’49 quando in un suo discorso parlò dell’emisfero sud del mondo come “area sottosviluppata”, suppongo che futuri analisti, vedranno nel movimento mondiale per l’acqua pubblica e nel rapido diffondersi del concetto di “bene comune”, la fine di tale era. E’ l’inizio della “conversione ecologica” auspicata da Alexander Langer.

Quando si arriva sull’orlo di un precipizio tornare indietro è la cosa più sensata. Questo non significa rinnegare, cancellare, il cammino fatto fino a quel punto. Il bagaglio di conoscenze accumulato sarà molto utile per proseguire il cammino, che potrà essere di ritorno come procedere per altre vie laterali. Letale sarebbe andare avanti basandosi sul fatto che fino a ieri abbiamo fatto così e non è successo niente.

Così arriviamo ad un nostro ultimo scambio. Spero che alla luce di quanto detto possa risultarti maggiormente comprensibile il titolo di un convegno svoltosi all’indomani del crollo del muro di Berlino "Il comunismo è morto, il capitalismo uccide: quale sviluppo?" a cui sicuramente Alexander Langer partecipò -non so dire con esattezza se fosse stato tra gli organizzatori-. Era una domanda a cui occorreva dare una risposta comune una ventina di anni fa. Oggi diciamo che siamo “costretti” a farlo.
Scrive nel volume citato all’inizio di queste righe sempre Vandana Shiva: “I sistemi economici centralizzati erodono anche la base democratica della politica. In una democrazia, l’agenda economica coincide con l’agenda politica. Quando della prima si appropriano la Banca mondiale, il Fmi e il Wto, la democrazia risulta decimata”.
All’indomani della pubblicazione della lettera della BCE al governo queste parole risuonano quanto mai vere. Partendo dal tema dell’acqua lo travalicano e, forse, fanno sembrare meno incomprensibili le cose che ho scritto.


Caro Severino, ti saluto con due righe ancora di Illich a commento del suo libro “H2O e le acque dell’oblio” Macro Edizioni, 1988 , riportate sempre nelle “Conversazioni” di David Cayley: “Io sto parlando del torpore che avvolge gli individui allorché smarriscono il senso necessario per immaginare la sostanza acqua, non le sue forme esterne ma la sostanza profonda dell’acqua”. Ecco, a me piace pensare che ciò che è in atto è la riacquisizione del senso profondo dell’acqua e della capacità di immaginare e della capacità di amare il prossimo contro un sistema basato in modo preponderante sulla competitività e l’accumulo. Sistema che si infrange con i limiti della biosfera, certo, ma anche con caratteristiche umane che credevamo perdute e fortunatamente non lo sono.

Un abbraccio a te e Diana.

Pietro

* Ho messo la parola “contro”, riferita alla lotta ai poteri forti, tra virgolette, perché credo che il conflitto che comunque dovremo affrontare, non potrà assolutamente essere affrontato in modo violento e per quanto abbia parlato di “sistema” non credo in nessuna nuova dottrina liberatoria basata sullo scontro fisico. Credo profondamente che l’arretratezza culturale, politica, economica, sociale di questo “sistema” vada sovvertita con la nascita di realtà altre e con l’esempio. A questo proposito ti invito a conoscere e a far conoscere ai lettori (se già non ne siete a conoscenza) la bella esperienza della rete dei “Comuni virtuosi” http://www.comunivirtuosi.org/ , dove le buone pratiche amministrative riguardanti tanti settori (ma tutte legate ad un’idea di sostenibilità ambientale e sociale) si diffondono rapidamente grazie al semplice “buon esempio”. Insomma “Testimonianze” come padre Ernesto Balducci volle chiamare questa bella rivista che egregiamente dirigi.

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