Quando avevamo tutte le risposte ci hanno cambiato le domande
Personale storia dei Verdi e nodi ancora attuali.
(intervento all'incontro regionale dei verdi a Coltano (PI) Marzo 2003)
(...)
I Verdi nascono negli anni '80 sulle contraddizioni nuove del '900.
Principalmente quella ambientale, ma anche sul rapporto Nord-Sud del mondo, sul suo insostenibile disequilibrio ed infine sulla contraddizione guerra-pace, con un tentativo di accoglimento delle tematiche nonviolente.
Nei Verdi confluiscono, con vari passaggi, tre filoni di pensiero (ovviamente con tutti i limiti che i tentativi di schematizzazione comportano):
1.. L'ecologismo profondo, che fa riferimento a pensatori come Ivan Illich, Wendell Berry, Edward Goldsmith ecc. e che da noi è ben esemplificato da Giannozzo Pucci e il gruppo dei Verdi fiorentini del primo momento.
2.. L'ambientalismo scientifico che fa riferimento a Berry Commoner, al Club di Roma, Jeremy Rifkin ecc. e che trova i suoi esponenti politici in Gianni Mattioli, Massimo Scalia e altri.
3.. L'ambientalismo politico che raccoglie a sua volta tre categorie di ex. Gli ex di Lotta Continua, gli ex di Democrazia Proletaria, gli ex dei Radicali (nell'ordine alcuni nomi rappresentativi: Luigi Manconi, Edo Ronchi, Francesco Rutelli).
Aggiungo una figura non inquadrabile in uno solo di questi gruppi e animatore importantissimo della prima fase dei Verdi: Alexander Langer. Di lui si può dire che veniva da Lotta Continua, ma seppe dialogare con l'ecologismo profondo fino a diventare amico di Ivan Illich, una volta è stato iscritto al partito Radicale e poi tutta una storia personale, difficilmente incasellabile ma che sarebbe imperdonabile non definire Verde.
E' facilmente intuibile il magma caotico che si è venuto a creare con posizioni diametralmente opposte su temi importanti quali la legge sull'aborto, diritti civili degli omosessuali ecc.
Non essere riusciti a fare propria la scelta della nonviolenza anche e soprattutto nelle dinamiche interne del partito ci ha portato ad una guerra civile perenne che, ancora oggi, è ben lontana dal terminare e che rimane, a mio avviso, una delle principali cause del nostro restare inchiodati su percentuali di voto irrisorie.
Il mondo, a quei tempi, era diviso in due blocchi. Quello Occidentale, che aveva "sviluppato" la prima parola della rivoluzione francese: libertà, fondato principalmente sulla Democrazia e sul libero commercio, e quello Sovietico che aveva "sviluppato" la seconda parola della rivoluzione francese: uguaglianza, fondato su un sistema totalitario: la dittatura del proletariato.
Nel 1989, sotto la spinta definitiva di una enorme richiesta di visti per espatrio dalla Germania dell'Est verso la Germania dell'Ovest (quindi sotto la pressione causata dalla mancanza di libertà) crolla il muro di Berlino.
Il travaglio che attraverserà la principale forza politica della sinistra italiana, il PCI, non si tramuterà minimamente in un incremento di voti e di credibilità dei Verdi.
Eppure lo spazio teorico lo avevamo tutto.
Si trattava di riuscire a fare convivere la cultura dei diritti umani e civili, la consapevolezza del limite ecologico che stavamo oltrepassando, con il messaggio di fraternità, la terza parola della rivoluzione francese, nascosta, nemmeno troppo, nell'ecologismo profondo. Non avevamo avuto né la capacità né il tempo per questo lavoro di amalgamazione. Anche perché di lì a poco andavamo ad infrangerci su due inaspettati scogli.
Uno immenso che non riguarda certo solo i verdi: la cosiddetta "Globalizzazione".
L'altro, anch'esso immenso, ma più specifico per il movimento eco-pacifista che vogliamo rappresentare: le guerre nella ex - Jugoslavia.
La globalizzazione è un processo complesso, ricco di molte facce.
E' globalizzazione la "flessibilità" del posto di lavoro come è globalizzazione l'antenna parabolica in Algeria che ti aiuta a costruire un argine nei confronti dell'integralismo islamico.
Le guerre nella ex-Jugoslavia, tragiche soprattutto per chi le ha subite, hanno avuto un effetto devastante, ovviamente su un piano molto diverso, ma che non possiamo sottovalutare, anche sul movimento pacifista.
Già Langer ci propose in pieno la "contraddizione" e molti di noi, me compreso,stentarono a credere alle loro orecchie quando, per la Bosnia, si schierò, se pur con tutti i distinguo, per l'intervento armato.
Era l'inizio dell'incrinatura, l'inizio del conflitto tra ciò che vede e sente chi è capace di ascoltare ed "i nostri cari pregiudizi" Per l'intervento in Kosovo si è ripresentata la stessa contraddizione. I verdi erano dentro i governi che sono "intervenuti" militarmente. Buona parte della base si è scandalizzata.
Mi pare assurdo che si stenti a capire che l'unica cosa che non andava fatta era quella di dividersi ideologicamente tra pacifisti "filo serbi" e interventisti "guerrafondai".
Perché di fatto va riconosciuto che, arrivati al punto in cui si era arrivati, non intervenire significava lasciare massacrare un popolo. E dire questo non significa essere a favore della "ideologia" militare, delle bombe all'uranio impoverito ecc. ecc.
Dall'altro lato non sono tra quelli che pensano che coloro che erano contrari all'intervento militare automaticamente siano stati filo Milosevic. Più semplicemente erano, e sono, salvo rare eccezioni, meno disposti a lasciarsi attraversare dalle contraddizioni, a rimettere in discussione sistemi di pensiero precostituiti.
D'altronde nessuno può esultare per aver avuto ragione. Non credo che i pacifisti potessero essere "contenti" della pulizia etnica a danno dei Kosovari ed oggi non possono negare che, per la prima volta nella storia, centinaia di migliaia di profughi hanno fatto ritorno nelle loro case, come non credo che chi si è dichiarato a favore dell'intervento possa essere "soddisfatto" dell'uranio impoverito seminato in mezza ex-jugoslavia o della contro pulizia etnica portata avanti da settori dell'U.C.K..
In mezzo alle due posizioni vi è uno spazio immenso che richiede l'impegno di ciascuno:
- La costituzione di una reale Europa politica comprendente i paesi dell'Europa dell'est
- La costruzione di un corpo di interposizione civile europeo (a suo tempo proposto da Langer).
Chi perde tempo a litigare su pro e contro intervento e non si impegna attivamente in questi due ambiti continua a portare avanti un ideologismo sterile privo di frutti futuri.
A metà degli anni '90 ho pensato a quale fosse la sensazione (da un punto di vista politico) che stavo provando. Mi è venuta spontanea agli occhi l'immagine di un naufrago che faceva "il morto"(stare a galla sdraiato sulla schiena, lasciandosi trascinare dalla corrente). Ho pensato così il dopo '89 come un "naufragio" della sinistra storica. Con quelli che, prima di affogare, saltavano senza pensarci due volte sulla corazzata che avevano combattuto fino al giorno
prima; con quelli che continuavano a nuotare accaniti nella direzione che credevano giusta (andando inesorabilmente incontro all'esaurimento delle proprie forze); con quelli che facevano "il morto", lasciandosi trasportare dalla corrente, risparmiando energie, concentrandosi sul proprio respiro, sperando in una spiaggia inaspettata o in una scialuppa di salvataggio. Nella storia dei verdi il naufragio è esemplificato nel suicidio di Alexander Langer. Non voglio
fare di Langer un santo, tanto meno ridurlo a santino, non credo che le ragioni della sua morte vadano ricercate nel passaggio storico-politico di quegli anni, certo è che la sua attività politica, per quanto bella, apprezzata, ben fatta, non gli è bastata più, non gli è stata più motore, ma peso che è andato ad aggiungersi ad altro peso. In questo senso penso di non fare un abuso ad utilizzare questa immagine come nostro piccolo paradigma.
C'è un brano scritto da Adriano Sofri alla fine de "Il nodo e il chiodo" che esprime molto bene questo stato d'animo che lui definisce del "militante smobilitato":
"..Man mano, le idee si ripetono e si svuotano. Le azioni mancano il bersaglio, o ne raggiungono altri imprevedibilmente deviati. La condizione personale diventa triste e soffocata. Una comunità politica non cede quando le sue azioni sono sconfitte, quando le sue imprese falliscono: cede quando non può più credere alle proprie parole. Le sente suonar falso. Quando non accetta più di dirsi che il difetto è ancora nella incoerenza fra i fatti e le parole. Fin lì si conserva, comunque ridotta, come comunità, e si scinde all'infinito: ciascuna
alla ricerca della propria via, ciascuna di nuovo pronta alla verità dell'azione che l'altra ha rinnegato o tradito. Quando lo scacco o il disastro dell'azione viene guardato finalmente dalla parte del suo proposito dichiarato, allora è la comunità stessa che precipitosamente si scioglie e abbandona i suoi membri alla solitudine - deriva o libertà riguadagnata.
A quel punto, può succedere di sostituire una Parola con un'altra, di passare da una comunità a un'altra, - un rimpianto della comunità perduta resterà. Oppure di tenersi la propria solitudine, e uscirne di nuovo quando e dove si vorrà, appena un po' più coperti, come nelle convalescenze. In questo caso si farà a meno di un nuovo sistema di parole, si sarà più indulgenti con la complicazione e la debolezza. Non si avrà fastidio della vita normale, né si crederà che essa sia solo inadempiente, e che la sua modestia non sia che una manifestazione
dell'universale ipocrisia. La si scoprirà perfino avventurosa, magari contro la voglia dei sui titolari: piena di guerre, di malattie, di dolore, di fatica. Piena di carità, di imprese volontarie, di coraggio, da parte di persone che non ne hanno fatto professione, e ne avrebbero fatto a meno.
Nel momento in cui restituisce il suo rispetto alla normalità, il militante smobilitato prende commiato dall'aspirazione a una coerenza stretta fra idee professate e vita quotidiana. Continua a prendere la cultura sul serio, ma non se ne sente in soggezione, come da una sguardo che veda e sanzioni, né se ne aspetta più di ciò che è ragionevole. Gli sembra che studiare sia bello, e che convenga farlo per passione e alla rinfusa, dapprincipio. Sa che l'eclettismo
può coprire l'irresponsabilità, e che un confine stretto lo separa dal cinismo.Ma non lo teme al punto di sentirsene costretto a un'ideologia conclusa. Non riesce a seguire gli usi correnti di formule come il pensiero forte e il pensiero debole. Pensa che ci sia, fra la morale quotidiana e le sue filosofie, il rapporto che c'è fra il camminare e la fisica del movimento, o l'anatomia, o la teologia. Che ci siano valori tanto inattaccabili e assoluti quanto normali,
e legati a una morale ingenua: valori compresi in un numero di comandamenti da decalogo - meno di dieci - in un paio di costituzioni statali, in due o tre enunciati delle istituzioni internazionali". (Adriano Sofri Il nodo e il chiodo
pagg. 146, 147, 148. Sellerio editore)
Dunque dicevo della sensazione di fare il morto. Fare il morto significa ascoltare più che parlare. Buona, a questo proposito la serie di iniziative "I Verdi ascoltano". Saper ascoltare significa lasciarsi attraversare dal mondo circostante cercando di abbandonare "i nostri cari pregiudizi" ( ripeto questa espressione per la seconda volta perché di A. Langer e già evidenziata da Sofri in una o più delle innumerevoli presentazioni de "Il viaggiatore leggero" che fece a suo tempo).
Se proviamo ad affrontare con questo atteggiamento alcune questioni vediamo come certe risposte che venivano spontanee prima del "naufragio" ora non reggono più (perché, come dice una scritta su un muro di Quito riportata da Eduardo Galeano su "Las Palabras andantes": Quando avevamo tutte le risposte ci hanno cambiato le domande).
La questione del referendum sull'allargamento dell'articolo 18 alle piccole imprese è paradigmatica in questo senso.
Prima dell'accelerazione dei processi di globalizzazione economica non ci saremmo mai messi a discutere così animatamente sull'opportunità o meno di diffondere strumenti di tutela dei diritti dei lavoratori. Ma oggi non possiamo più ragionare come ieri perché, purtroppo, viviamo già nel paradosso che gli operai del mondo occidentale si trovano a competere contro bambini venduti come schiavi che lavorano 16 ore al giorno.
L'innalzamento di una tutela a livello esclusivamente nazionale rischia di trasformarsi nel suo opposto con la fuga del capitale verso lidi dove la mano d'opera è meno tutelata creando qui disoccupazione e là sfruttamento.
Chi ha proposto di promuovere questa campagna referendaria e quindi, in primo luogo, la nostra dirigenza nazionale, ha dimostrato, a mio parere, una scarsa capacità di analisi oltre che una totale miopia politica.
Il lavoro, la tutela dei diritti umani ai quattro angoli del globo, le emergenze ambientali planetarie, la difesa dal terrorismo internazionale ci conducono con forza verso la necessità non più rimandabile di strutture politiche sopranazionali. La crisi dell'ONU di questi giorni non fa che confermare questa necessità.
I Verdi potrebbero svolgere compiti importanti in questa fase. Un primo passo sarebbe sicuramente la costituzione del Partito Verde Europeo. A che punto è il progetto?
Una seconda funzione importantissima, che qui accenno soltanto perché ho gia preso troppo tempo, potrebbe essere quella di farsi ponte.
Ponte tra movimento e istituzioni, con la fatica massacrante che questo comporta.
Ponte tra l'azione locale e il pensiero globale.
Ponte tra il pacifismo assoluto ed una nonviolenza matura che non rinnega l'importanza delle istituzioni democratiche dotate di propri strumenti di forza.
Ponte tra forza militare e forze di interposizione non armate..
Tantissimi sono gli ambiti in cui occorre una capacità di proposta e costruzione.
Da portare avanti in profondità, lentamente, con dolcezza, come ci raccomandava
Langer.
(intervento all'incontro regionale dei verdi a Coltano (PI) Marzo 2003)
(...)
I Verdi nascono negli anni '80 sulle contraddizioni nuove del '900.
Principalmente quella ambientale, ma anche sul rapporto Nord-Sud del mondo, sul suo insostenibile disequilibrio ed infine sulla contraddizione guerra-pace, con un tentativo di accoglimento delle tematiche nonviolente.
Nei Verdi confluiscono, con vari passaggi, tre filoni di pensiero (ovviamente con tutti i limiti che i tentativi di schematizzazione comportano):
1.. L'ecologismo profondo, che fa riferimento a pensatori come Ivan Illich, Wendell Berry, Edward Goldsmith ecc. e che da noi è ben esemplificato da Giannozzo Pucci e il gruppo dei Verdi fiorentini del primo momento.
2.. L'ambientalismo scientifico che fa riferimento a Berry Commoner, al Club di Roma, Jeremy Rifkin ecc. e che trova i suoi esponenti politici in Gianni Mattioli, Massimo Scalia e altri.
3.. L'ambientalismo politico che raccoglie a sua volta tre categorie di ex. Gli ex di Lotta Continua, gli ex di Democrazia Proletaria, gli ex dei Radicali (nell'ordine alcuni nomi rappresentativi: Luigi Manconi, Edo Ronchi, Francesco Rutelli).
Aggiungo una figura non inquadrabile in uno solo di questi gruppi e animatore importantissimo della prima fase dei Verdi: Alexander Langer. Di lui si può dire che veniva da Lotta Continua, ma seppe dialogare con l'ecologismo profondo fino a diventare amico di Ivan Illich, una volta è stato iscritto al partito Radicale e poi tutta una storia personale, difficilmente incasellabile ma che sarebbe imperdonabile non definire Verde.
E' facilmente intuibile il magma caotico che si è venuto a creare con posizioni diametralmente opposte su temi importanti quali la legge sull'aborto, diritti civili degli omosessuali ecc.
Non essere riusciti a fare propria la scelta della nonviolenza anche e soprattutto nelle dinamiche interne del partito ci ha portato ad una guerra civile perenne che, ancora oggi, è ben lontana dal terminare e che rimane, a mio avviso, una delle principali cause del nostro restare inchiodati su percentuali di voto irrisorie.
Il mondo, a quei tempi, era diviso in due blocchi. Quello Occidentale, che aveva "sviluppato" la prima parola della rivoluzione francese: libertà, fondato principalmente sulla Democrazia e sul libero commercio, e quello Sovietico che aveva "sviluppato" la seconda parola della rivoluzione francese: uguaglianza, fondato su un sistema totalitario: la dittatura del proletariato.
Nel 1989, sotto la spinta definitiva di una enorme richiesta di visti per espatrio dalla Germania dell'Est verso la Germania dell'Ovest (quindi sotto la pressione causata dalla mancanza di libertà) crolla il muro di Berlino.
Il travaglio che attraverserà la principale forza politica della sinistra italiana, il PCI, non si tramuterà minimamente in un incremento di voti e di credibilità dei Verdi.
Eppure lo spazio teorico lo avevamo tutto.
Si trattava di riuscire a fare convivere la cultura dei diritti umani e civili, la consapevolezza del limite ecologico che stavamo oltrepassando, con il messaggio di fraternità, la terza parola della rivoluzione francese, nascosta, nemmeno troppo, nell'ecologismo profondo. Non avevamo avuto né la capacità né il tempo per questo lavoro di amalgamazione. Anche perché di lì a poco andavamo ad infrangerci su due inaspettati scogli.
Uno immenso che non riguarda certo solo i verdi: la cosiddetta "Globalizzazione".
L'altro, anch'esso immenso, ma più specifico per il movimento eco-pacifista che vogliamo rappresentare: le guerre nella ex - Jugoslavia.
La globalizzazione è un processo complesso, ricco di molte facce.
E' globalizzazione la "flessibilità" del posto di lavoro come è globalizzazione l'antenna parabolica in Algeria che ti aiuta a costruire un argine nei confronti dell'integralismo islamico.
Le guerre nella ex-Jugoslavia, tragiche soprattutto per chi le ha subite, hanno avuto un effetto devastante, ovviamente su un piano molto diverso, ma che non possiamo sottovalutare, anche sul movimento pacifista.
Già Langer ci propose in pieno la "contraddizione" e molti di noi, me compreso,stentarono a credere alle loro orecchie quando, per la Bosnia, si schierò, se pur con tutti i distinguo, per l'intervento armato.
Era l'inizio dell'incrinatura, l'inizio del conflitto tra ciò che vede e sente chi è capace di ascoltare ed "i nostri cari pregiudizi" Per l'intervento in Kosovo si è ripresentata la stessa contraddizione. I verdi erano dentro i governi che sono "intervenuti" militarmente. Buona parte della base si è scandalizzata.
Mi pare assurdo che si stenti a capire che l'unica cosa che non andava fatta era quella di dividersi ideologicamente tra pacifisti "filo serbi" e interventisti "guerrafondai".
Perché di fatto va riconosciuto che, arrivati al punto in cui si era arrivati, non intervenire significava lasciare massacrare un popolo. E dire questo non significa essere a favore della "ideologia" militare, delle bombe all'uranio impoverito ecc. ecc.
Dall'altro lato non sono tra quelli che pensano che coloro che erano contrari all'intervento militare automaticamente siano stati filo Milosevic. Più semplicemente erano, e sono, salvo rare eccezioni, meno disposti a lasciarsi attraversare dalle contraddizioni, a rimettere in discussione sistemi di pensiero precostituiti.
D'altronde nessuno può esultare per aver avuto ragione. Non credo che i pacifisti potessero essere "contenti" della pulizia etnica a danno dei Kosovari ed oggi non possono negare che, per la prima volta nella storia, centinaia di migliaia di profughi hanno fatto ritorno nelle loro case, come non credo che chi si è dichiarato a favore dell'intervento possa essere "soddisfatto" dell'uranio impoverito seminato in mezza ex-jugoslavia o della contro pulizia etnica portata avanti da settori dell'U.C.K..
In mezzo alle due posizioni vi è uno spazio immenso che richiede l'impegno di ciascuno:
- La costituzione di una reale Europa politica comprendente i paesi dell'Europa dell'est
- La costruzione di un corpo di interposizione civile europeo (a suo tempo proposto da Langer).
Chi perde tempo a litigare su pro e contro intervento e non si impegna attivamente in questi due ambiti continua a portare avanti un ideologismo sterile privo di frutti futuri.
A metà degli anni '90 ho pensato a quale fosse la sensazione (da un punto di vista politico) che stavo provando. Mi è venuta spontanea agli occhi l'immagine di un naufrago che faceva "il morto"(stare a galla sdraiato sulla schiena, lasciandosi trascinare dalla corrente). Ho pensato così il dopo '89 come un "naufragio" della sinistra storica. Con quelli che, prima di affogare, saltavano senza pensarci due volte sulla corazzata che avevano combattuto fino al giorno
prima; con quelli che continuavano a nuotare accaniti nella direzione che credevano giusta (andando inesorabilmente incontro all'esaurimento delle proprie forze); con quelli che facevano "il morto", lasciandosi trasportare dalla corrente, risparmiando energie, concentrandosi sul proprio respiro, sperando in una spiaggia inaspettata o in una scialuppa di salvataggio. Nella storia dei verdi il naufragio è esemplificato nel suicidio di Alexander Langer. Non voglio
fare di Langer un santo, tanto meno ridurlo a santino, non credo che le ragioni della sua morte vadano ricercate nel passaggio storico-politico di quegli anni, certo è che la sua attività politica, per quanto bella, apprezzata, ben fatta, non gli è bastata più, non gli è stata più motore, ma peso che è andato ad aggiungersi ad altro peso. In questo senso penso di non fare un abuso ad utilizzare questa immagine come nostro piccolo paradigma.
C'è un brano scritto da Adriano Sofri alla fine de "Il nodo e il chiodo" che esprime molto bene questo stato d'animo che lui definisce del "militante smobilitato":
"..Man mano, le idee si ripetono e si svuotano. Le azioni mancano il bersaglio, o ne raggiungono altri imprevedibilmente deviati. La condizione personale diventa triste e soffocata. Una comunità politica non cede quando le sue azioni sono sconfitte, quando le sue imprese falliscono: cede quando non può più credere alle proprie parole. Le sente suonar falso. Quando non accetta più di dirsi che il difetto è ancora nella incoerenza fra i fatti e le parole. Fin lì si conserva, comunque ridotta, come comunità, e si scinde all'infinito: ciascuna
alla ricerca della propria via, ciascuna di nuovo pronta alla verità dell'azione che l'altra ha rinnegato o tradito. Quando lo scacco o il disastro dell'azione viene guardato finalmente dalla parte del suo proposito dichiarato, allora è la comunità stessa che precipitosamente si scioglie e abbandona i suoi membri alla solitudine - deriva o libertà riguadagnata.
A quel punto, può succedere di sostituire una Parola con un'altra, di passare da una comunità a un'altra, - un rimpianto della comunità perduta resterà. Oppure di tenersi la propria solitudine, e uscirne di nuovo quando e dove si vorrà, appena un po' più coperti, come nelle convalescenze. In questo caso si farà a meno di un nuovo sistema di parole, si sarà più indulgenti con la complicazione e la debolezza. Non si avrà fastidio della vita normale, né si crederà che essa sia solo inadempiente, e che la sua modestia non sia che una manifestazione
dell'universale ipocrisia. La si scoprirà perfino avventurosa, magari contro la voglia dei sui titolari: piena di guerre, di malattie, di dolore, di fatica. Piena di carità, di imprese volontarie, di coraggio, da parte di persone che non ne hanno fatto professione, e ne avrebbero fatto a meno.
Nel momento in cui restituisce il suo rispetto alla normalità, il militante smobilitato prende commiato dall'aspirazione a una coerenza stretta fra idee professate e vita quotidiana. Continua a prendere la cultura sul serio, ma non se ne sente in soggezione, come da una sguardo che veda e sanzioni, né se ne aspetta più di ciò che è ragionevole. Gli sembra che studiare sia bello, e che convenga farlo per passione e alla rinfusa, dapprincipio. Sa che l'eclettismo
può coprire l'irresponsabilità, e che un confine stretto lo separa dal cinismo.Ma non lo teme al punto di sentirsene costretto a un'ideologia conclusa. Non riesce a seguire gli usi correnti di formule come il pensiero forte e il pensiero debole. Pensa che ci sia, fra la morale quotidiana e le sue filosofie, il rapporto che c'è fra il camminare e la fisica del movimento, o l'anatomia, o la teologia. Che ci siano valori tanto inattaccabili e assoluti quanto normali,
e legati a una morale ingenua: valori compresi in un numero di comandamenti da decalogo - meno di dieci - in un paio di costituzioni statali, in due o tre enunciati delle istituzioni internazionali". (Adriano Sofri Il nodo e il chiodo
pagg. 146, 147, 148. Sellerio editore)
Dunque dicevo della sensazione di fare il morto. Fare il morto significa ascoltare più che parlare. Buona, a questo proposito la serie di iniziative "I Verdi ascoltano". Saper ascoltare significa lasciarsi attraversare dal mondo circostante cercando di abbandonare "i nostri cari pregiudizi" ( ripeto questa espressione per la seconda volta perché di A. Langer e già evidenziata da Sofri in una o più delle innumerevoli presentazioni de "Il viaggiatore leggero" che fece a suo tempo).
Se proviamo ad affrontare con questo atteggiamento alcune questioni vediamo come certe risposte che venivano spontanee prima del "naufragio" ora non reggono più (perché, come dice una scritta su un muro di Quito riportata da Eduardo Galeano su "Las Palabras andantes": Quando avevamo tutte le risposte ci hanno cambiato le domande).
La questione del referendum sull'allargamento dell'articolo 18 alle piccole imprese è paradigmatica in questo senso.
Prima dell'accelerazione dei processi di globalizzazione economica non ci saremmo mai messi a discutere così animatamente sull'opportunità o meno di diffondere strumenti di tutela dei diritti dei lavoratori. Ma oggi non possiamo più ragionare come ieri perché, purtroppo, viviamo già nel paradosso che gli operai del mondo occidentale si trovano a competere contro bambini venduti come schiavi che lavorano 16 ore al giorno.
L'innalzamento di una tutela a livello esclusivamente nazionale rischia di trasformarsi nel suo opposto con la fuga del capitale verso lidi dove la mano d'opera è meno tutelata creando qui disoccupazione e là sfruttamento.
Chi ha proposto di promuovere questa campagna referendaria e quindi, in primo luogo, la nostra dirigenza nazionale, ha dimostrato, a mio parere, una scarsa capacità di analisi oltre che una totale miopia politica.
Il lavoro, la tutela dei diritti umani ai quattro angoli del globo, le emergenze ambientali planetarie, la difesa dal terrorismo internazionale ci conducono con forza verso la necessità non più rimandabile di strutture politiche sopranazionali. La crisi dell'ONU di questi giorni non fa che confermare questa necessità.
I Verdi potrebbero svolgere compiti importanti in questa fase. Un primo passo sarebbe sicuramente la costituzione del Partito Verde Europeo. A che punto è il progetto?
Una seconda funzione importantissima, che qui accenno soltanto perché ho gia preso troppo tempo, potrebbe essere quella di farsi ponte.
Ponte tra movimento e istituzioni, con la fatica massacrante che questo comporta.
Ponte tra l'azione locale e il pensiero globale.
Ponte tra il pacifismo assoluto ed una nonviolenza matura che non rinnega l'importanza delle istituzioni democratiche dotate di propri strumenti di forza.
Ponte tra forza militare e forze di interposizione non armate..
Tantissimi sono gli ambiti in cui occorre una capacità di proposta e costruzione.
Da portare avanti in profondità, lentamente, con dolcezza, come ci raccomandava
Langer.
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